8 Marzo: tra diritti e mimose

8 Marzo: tra diritti e mimose
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A cura della dr.ssa Letizia di Lauro – Criminologa

8 Marzo: tra diritti e mimose. La Giornata Internazionale della donna che convenzionalmente viene celebrata in tutto il mondo nella giornata di oggi deve – secondo le versioni più accreditate – la sua fissazione alla Seconda Conferenza delle donne comuniste nel 1921, per ricordare le opposizioni femministe al regime zarista del 1917.

Se le donne e gli uomini da allora avessero gli stessi diritti, potessero accedere in egual modo alle risorse, avessero lo stesso riconoscimento sociale, si potrebbe considerare l’8 marzo una semplice giornata celebrativa.

Una giornata come tante altre durante l’anno in cui donare il fiore più semplice ma dal colore vivo che traghetta l’inverno verso la primavera, il periodo di riposo della natura verso il risveglio.

I diritti non sono eguali in tanti Paesi del mondo

Purtroppo però le cose non stanno così, ancora oggi i diritti non sono eguali in tanti Paesi del mondo, il clima culturale di stampo patriarcale traina ancora una organizzazione sociale che fatica ad essere accantonata e il peso della discriminazione che ne è il frutto allora colpisce tutti gli spazi possibili, dal lavoro, al tempo libero, per strada come a casa.

Per questo negli ultimi anni nella Giornata Internazionale della donna i movimenti femministi hanno indetto uno sciopero generale in tutto il mondo, nel settore privato e in quello pubblico: i dati sulla discriminazione e violenza di genere infatti sono allarmanti ogni anno di più, in Italia l’Istat rivela che oltre il 30% delle donne tra i 16 e i 70 anni hanno subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale o molestia sul luogo di lavoro.

Proprio quest’ultimo è lo scenario di diversi esempi di discriminazioni; i dati raccolti descrivono meno della metà della popolazione femminile in età da lavoro impiegata nel mercato ufficiale, sotto l’aspetto salariale la discriminazione con i colleghi maschi arriva al 40% a seconda delle professioni, se poi le donne decidono di portare avanti un progetto di famiglia e maternità, 1/3 di esse lasciano l’impiego per le difficoltà poste loro dai datori di lavoro.

Ci vorrà ancora un secolo per raggiungere la parità

Secondo le previsioni del Gender Gap Report del World Economic Forum 2020, ci vorranno 99,5 anni per la parità tra donne e uomini. Per la parità di successo alla partecipazione economica addirittura arriviamo a 257 anni. L’Italia lo scorso anno è precipitata al 76° posto (nel 2019 era la 70° risalendo dalla posizione 82 del 2017) su 153 Paesi partecipanti.  Il problema, come è stato fatto notare, non è tanto nella rappresentanza politica o nella presenza delle donne in Parlamento, ma proprio nelle opportunità e partecipazione delle donne alla vita economica del Paese.

Il divario di occupazionale e l’avanzamento di carriera

Da noi lavora meno di una donna su due, sempre secondo l’Istat il divario di occupazione tra donne e uomini è del 18,9 %, peggio in Europa si trova solo Malta. Se le donne poi hanno figli, in Italia, la situazione peggiora: l’11,1% delle madri con almeno un figlio non ha mai lavorato. Sempre secondo il Gender Gap Report, in Italia pesa anche il divario salariale a parità di mansioni e livello di istruzione tra uomini e donne, infatti più una donna è istruita più il divario aumenta: nel caso di un uomo laureato, egli guadagna rispetto a diplomato il 32% in più, se si tratta di una donna laureata, ella guadagna il 14,3% in più rispetto alla diplomata. Le donne inoltre devono faticare il doppio per avanzare di carriera, anche tra i professionisti e manager.

La risoluzione alla disuguaglianza

La protesta dell’astensione dal lavoro proposta dai movimenti femministi negli anni passati, come anche le manifestazioni dei sindacati, delle associazioni di genere,  ancor più in  quest’anno così particolare, si inseriscono perciò nella più ampia risposta a tutte le forme di violenza che costantemente colpiscono le vite delle donne in famiglia, sul luogo di lavoro, nelle scuole in ogni Paese.

La risoluzione alla disuguaglianza allora vede due obiettivi: l’inserimento lavorativo delle donne in settori essenziali, stimolando anche la crescita economica, e colmare il divario tra competenze e assunzioni, creando una cultura di lavoro inclusiva per un futuro che possa dirsi veramente paritario.

Di Pasquale Crespa

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