Ti scrivo perché ti ho letto. Lettera a Marianna Scagliola, autrice di “Il Francese, Biancaneve e i Settebello” Napoletanamente edizioni

Ti scrivo perché ti ho letto. Lettera a Marianna Scagliola, autrice di “Il Francese, Biancaneve e i Settebello” Napoletanamente edizioni
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In questa rubrica Daniela Marra raccoglie lettere nate da letture che hanno lasciato un’impronta profonda. Libri che conducono altrove, parole che hanno saputo accendere uno sguardo, muovere un passo. Qui, chi legge non recensisce: racconta il suo attraversamento, e affida alla parola scritta il gesto antico della gratitudine.


 A cuore nudo

di Daniela Marra

Cara Marianna,
scriverti è come poggiare la fronte su una parete calda di parole e restare lì, in ascolto. Di un respiro. Di una voce che si ostina a dire quello che altri non osano. Ma anche, più profondamente, è ascoltare la tenacia interiore, il bisogno vitale di scrittura, e il modo in cui sei riuscita a tramutare la rabbia in arte, il dolore in consapevolezza, la denuncia in racconto.

Non è facile incontrare un libro che sia, al tempo stesso, una finestra spalancata sull’abisso e un rifugio per l’anima. Il Francese, Biancaneve e i Settebello è entrambi. Mi ci sono immersa, e mi ci sono smarrita. Ma non in una confusione sterile. È uno smarrimento fertile, quello che la tua scrittura produce. Un disorientamento che ci spinge a riconsiderare ciò che sapevamo – o credevamo di sapere – sul male, sulla città, sull’infanzia, e persino sulla risata.

Hai preso un tema urticante, sconvolgente e necessario – la pedofilia – e lo hai trattato non con freddezza accademica o con pietismo, ma con uno sguardo narrativo che è carne, voce, vita. I gemelli Gallo, con il loro linguaggio sferzante, la loro ironia disperata, le loro trovate da commedia urbana, sono molto più che personaggi: sono ferite che camminano e che, a volte, riescono perfino a cantare. Ridono. Anche quando tutto attorno muore. E quella risata – lo sappiamo – è il tuo colpo d’ala.

Napoli è più di uno sfondo. È un corpo vivente. Scampia e il Vomero, il degrado e l’élite ipocrita, le macerie dell’istituzione e la speranza che si annida in un angolo di cortile, magari proprio tra due bambini che non smettono di sognare, nonostante tutto. La tua città la senti e la restituisci con una tensione palpabile, in ogni dialogo, in ogni dettaglio. Una città “magica ma contraddittoria”, come l’hai definita, dove le fiabe diventano distopie, ma anche trampolini di resistenza.

Marianna, tu non scrivi soltanto storie. Tu costruisci interi mondi emotivi. E la tua voce – forte, ironica, lacerante – è uno schiaffo a chi ancora finge di non sapere. È anche una carezza a chi porta dentro le cicatrici del silenzio.

Ho letto della tua lunga documentazione, degli incontri con esperti, della tua fatica di tenere insieme i registri opposti dell’umorismo e del dramma. Ma non è solo studio: è cuore che pulsa, è responsabilità civile e poetica insieme. È anche un atto di generosità, perché si sente che scrivi per “qualcosa” – o forse sarebbe meglio dire “per qualcuno”. Per i piccoli, i dimenticati, gli invisibili. Per loro, il tuo romanzo è un faro. O una lama. O entrambe le cose.

Hai scritto: “I pedofili non sono mostri. Sono criminali.” Quanta lucidità in queste parole. Quanto coraggio nel voler correggere persino il linguaggio, nel volerlo rendere strumento di verità. Sì, verità: una parola che a molti sembra retorica e invece, nelle tue mani, ritorna necessaria. Limpida. Dolorosa.

E poi c’è la tua associazione, Napoletanamente. Un nome che già suona come un manifesto. Cultura come trasformazione, bellezza come consapevolezza, arte come terapia collettiva. Quanto bisogno abbiamo, oggi, di questo sguardo? Di questo modo di stare nel mondo, scrivendo?

Leggendoti, ho provato più volte la sensazione che la tua penna fosse la prosecuzione di una lotta interiore. La letteratura come forma di resistenza, sì, ma anche come forma di protezione. Nei tuoi personaggi c’è chi scappa, chi resiste, chi osserva in silenzio. Ma tutti, a modo loro, stanno cercando di salvarsi. E di salvarci. Come te.

Con questa lettera, voglio dirti grazie. Ma anche di più: voglio prendermi il tempo – il tempo lento della lettura profonda, del silenzio riflessivo – per restare dentro la tua voce. Per lasciarmi disturbare, come diceva Dalì. Per continuare a credere che i libri possano fare ciò che spesso le istituzioni non fanno: ascoltare, prevenire, proteggere.

Aspetterò con impazienza il tuo prossimo romanzo “fastidioso”, come lo chiami tu. Intanto custodirò le pagine di Il Francese, Biancaneve e i Settebello come si custodisce una lettera importante ricevuta da qualcuno che ci ha visto nel profondo.

Con stima sincera e commozione,

Daniela

Riproduzione riservata©Copyright PressNews

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