Ti scrivo perché ti ho letto. Lettera a Pietro Treccagnoli, autore di “Cartolina da Napoli” Giannini edizioni

In questa rubrica Daniela Marra raccoglie lettere nate da letture che hanno lasciato un’impronta profonda. Libri che conducono altrove, parole che hanno saputo accendere uno sguardo, muovere un passo. Qui, chi legge non recensisce: racconta il suo attraversamento, e affida alla parola scritta il gesto antico della gratitudine.
A spasso con Pietro Treccagnoli
di Daniela Marra
Caro Pietro,
ci sono libri che si leggono, altri che si abitano. Cartolina da Napoli è tra questi ultimi. Non l’ho sfogliato: l’ho attraversato come si fa con un vicolo che profuma di caffè e voci, tra ombre fresche e raggi taglienti, con quella strana euforia sacra che solo Partenope sa offrire quando si lascia guardare, o meglio, quando decide che sei degno di vederla.
Ogni tua passeggiata è diventata mia. Con te ho messo piede in luoghi che credevo di conoscere e che invece, all’improvviso, si sono spalancati come pagine segrete. Tu dici che Napoli è una città-libro di pietra, da schiudere ogni giorno. Io credo che sia anche una creatura timida, che si fa trovare solo se la si corteggia con parole giuste. E tu, le parole giuste, le hai trovate.
Nel Centro Direzionale, che tanti liquidano come un errore d’architettura, ho visto, grazie a te, la scommessa incerta di una città che prova a diventare futuro senza rinnegare il suo passato stratificato. E poi Mergellina: l’immagine impossibile di Virgilio e Leopardi uno accanto all’altro, come due custodi invisibili della malinconia partenopea. È un’immagine che mi porto dentro, quasi una visione che consola.
E poi c’è il Cavone. Lo chiami “il canyon dei bassi”, alveare metropolitano e mediterraneo, un fiume umano e architettonico che “si spinge, onda su onda, fino all’oceano Indiano”. Una frase che pare uscita da un sogno etnografico, e che invece è Napoli, Napoli com’è davvero: smisurata, obliqua, sfacciata e segreta. Hai dato voce al suo respiro disordinato, a quel suo modo unico di occupare lo spazio, inventandolo, piegandolo, accatastandolo.
Ogni capitolo è una cartolina che non vuole essere spedita, ma tenuta tra le dita: la carta leggermente ruvida, l’inchiostro che sa di tempo. “Le cupole regine di Napoli”, “Port’Alba, bancarelle e magie”: titoli che già da soli sono racconti, già da soli odorano di sabato mattina e di passi lenti.
Grazie alle tue parole ho avuto la sensazione che Napoli non sia un posto, ma un tempo. Un tempo che si allarga, si torce, si moltiplica. Un tempo dove chi legge può ancora smarrirsi senza perdersi.
Grazie per avermelo ricordato. E per avermi accompagnata, silenziosamente, in questo viaggio meraviglioso
Con stima e affetto,
Daniela
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