Ti scrivo perché ti ho letto. Lettera a Antonio Corvino, autore de “L’altra faccia di Partenope” Rubbettino edizioni

In questa rubrica Daniela Marra raccoglie lettere nate da letture che hanno lasciato un’impronta profonda. Libri che conducono altrove, parole che hanno saputo accendere uno sguardo, muovere un passo. Qui, chi legge non recensisce: racconta il suo attraversamento, e affida alla parola scritta il gesto antico della gratitudine.
Lungo l’ombra della sirena
di Daniela Marra
Caro Antonio,
leggere L’altra faccia di Partenope è stato come aprire una ferita antica nella mia percezione delle città, una di quelle ferite che non chiedono guarigione, ma attenzione. Le tue parole, sottili e ardenti, hanno compiuto ciò che solo la letteratura sa fare: non mi hanno mostrato una città, ma mi hanno insegnato a vederla.
La tua Napoli è certamente un luogo da attraversare, ma soprattutto una presenza da evocare. In essa si avverte il respiro profondo delle città-mito, quelle che non si esauriscono nella geografia ma si offrono come mappe interiori, come geologie dello spirito. Ed è proprio in questa visione che la tua scrittura si innesta con la grande tradizione della letteratura di viaggio, quella dei cammini sapienziali, degli attraversamenti simbolici, dove ogni passo è anche un atto conoscitivo, ogni sosta una meditazione.
Leggerti è stato come compiere un pellegrinaggio circolare come l’andamento del pensiero profondo o il moto delle maree. Da San Giovanni a Teduccio a Portici, dalle edicole votive alla voce muta delle pietre, ogni luogo che nomini diventa soglia, passaggio, varco da cui filtrano memorie remote e archetipi ancora vivi. È una topografia sacra quella che ci consegni, dove l’invisibile non è ciò che sfugge, ma ciò che chiede di essere cercato.
Hai scritto un libro che è, al tempo stesso, saggio, preghiera, canto. Un libro che chiede lentezza, attenzione, ascolto. E che ci ricorda, in un’epoca in cui il viaggio è spesso ridotto a consumo visivo e superficiale da condividere, che viaggiare, quando è autentico, è un esercizio spirituale. Che camminare in una città, se lo si fa con l’anima in allerta, è entrare in dialogo con ciò che essa custodisce di non detto, di sommerso, di eterno.
L’ altra faccia di Partenope si inserisce, con grazia e forza, nella scia di quei testi che non si limitano a raccontare un luogo, ma lo reinventano come figura simbolica: penso ai percorsi urbani di Calvino, ai miraggi metropolitani di Walter Benjamin, ai pellegrinaggi meridiani di Ortese. Tuttavia la tua voce, pur nutrita da echi colti, è profondamente personale, ha la limpidezza dell’occhio innamorato e la disciplina del pensiero che medita.
Grazie per aver scritto un libro necessario, che ci restituisce un’altra Napoli e un altro modo di stare nel mondo. Un libro che ci educa al silenzio e all’attenzione, e che ci ricorda che ogni città, come ogni essere umano, possiede una faccia visibile e una nascosta. E che è in quest’ultima si annida la verità più viva.
Ti scrivo come si scrive a un compagno di viaggio che non si è mai incontrato, ma di cui si è seguito il passo, il respiro, la visione. L’altra faccia di Partenope è stato un varco, un pellegrinaggio urbano, un rito silenzioso dentro l’anima di una città che da troppo tempo avevo smesso di ascoltare.
La tua Napoli, sussurrata, mai gridata, è corpo mitico, figura velata, città che si lascia sfiorare solo da chi ha imparato la pazienza del passo lento. Il tuo cammino tra i margini e i cuori pulsanti, dalle soglie periferiche ai recessi più densi di storia e spirito, è insieme topografia e teologia. Hai disegnato una mappa invisibile, una geografia poetica fatta di edicole votive, silenzi sacri, contrasti che danzano senza annullarsi.
Nel tuo sguardo ho ritrovato ciò che la grande letteratura di viaggio ci insegna da sempre: che il luogo non è mai soltanto uno spazio da attraversare, ma un volto da decifrare. Viaggiare, quando è gesto consapevole, è farsi porosi, lasciarsi attraversare, cambiare forma per poter comprendere. È un atto d’amore, e anche di rinuncia: al dominio, all’immediatezza, all’illusione di conoscere.
Tu non racconti Napoli. Tu la evochi, la interroghi, le resti accanto. Come un viandante che conosce la sacralità della soglia e il pudore del mistero. La tua scrittura cammina con il lettore, non vuole trascinarlo: lo invita a rallentare, a scendere sotto la superficie, a ricominciare a vedere. In questo tempo saturo di immagini e narrazioni vuote, ci ricordi che guardare è un atto poetico, e che ogni città merita di essere amata anche nel suo buio.
L’altra faccia di Partenope non si dimentica perché non racconta un viaggio: è il viaggio. E come tutti i veri viaggi lascia dentro un’eco lunga e il desiderio, mai del tutto sazio, di tornare.
Con gratitudine profonda,
Daniela
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