Ti scrivo perché ti ho letto. Lettera a Vittorio del Tufo, autore di “Il fiume scomparso” Castelvecchi edizioni

Ti scrivo perché ti ho letto. Lettera a Vittorio del Tufo, autore di “Il fiume scomparso” Castelvecchi edizioni
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In questa rubrica Daniela Marra raccoglie lettere nate da letture che hanno lasciato un’impronta profonda. Libri che conducono altrove, parole che hanno saputo accendere uno sguardo, muovere un passo. Qui, chi legge non recensisce: racconta il suo attraversamento, e affida alla parola scritta il gesto antico della gratitudine.


Le acque che non dimenticano


di Daniela Marra

Caro Vittorio,

nel cuore di Napoli, dove il Centro Direzionale si erge come una selva di vetro e cemento sospesa tra il cielo e il tessuto antico della città, ho aperto Il fiume scomparso. In un quartiere quasi estraneo, eppure così parte integrante di una città che, come un fiume sotterraneo, scorre invisibile ma potente sotto ogni strada, ogni vicolo, ogni pietra.

Chi già ti legge lo sa: i tuoi libri non descrivono Napoli, la disvelano. Non la inseguono, ma la interrogano, nella sua memoria profonda, nei suoi enigmi taciuti. Da giornalista sensibile ai margini e alle fenditure del tempo, da scrittore che da anni racconta i luoghi della memoria, i cimiteri delle fonti, i sotterranei della storia, le zone cieche del potere, tu hai costruito una Napoli personale, stratificata, irrisolta, lontana da ogni folklore, ma capace di vibrare nel lettore come una verità antica.

In questo nuovo romanzo, hai una voce che sembra più libera, e al tempo stesso più visionaria. Il passo da saggista e giornalista a narratore sembra compiuto, senza perdere l’affilatura del cronista.

C’è un giorno, nel 2016, in cui Napoli sembra cedere. Piove da giorni. Non una pioggia liberatoria, ma acqua greve, verticale, che scava, sfibra, fa frana. Sembra non essere soltanto un fenomeno atmosferico, ma una crepa, un varco, un presagio. La città si allaga e i confini tra sopra e sotto si dissolvono.

Il 2016 è un anno simbolico, un anno fragile e per certi versi sospeso: Napoli è attraversata da promesse di rinascita urbana, da fermenti politici e da spinte speculative, ma resta anche ferma, spaesata, esposta a vecchie ferite mai rimarginate. In questo paesaggio scollato, Il fiume scomparso si apre come un racconto di necessità, nato proprio da quella tensione tra la memoria e l’oblio, tra l’illusione di governare la città e il rischio di essere sommersi da ciò che la città sa da sempre.

È in questo paesaggio che si muove la storia di Viola, una geologa incaricata di aggiornare la mappa delle cavità sotterranee in vista del vertice G20. Ma la sua missione non è mai stata solo tecnica. Nessuna mappa è neutra, e nessun incarico, quando è Napoli a inghiottirti. Il suo lavoro si trasfigura in un’immersione nel ventre della città. Accanto a lei Liam, suo compagno, giornalista di cronaca, con occhi che vedono troppo.

Un alleato quasi per caso, riflesso imperfetto dell’inchiesta e dell’amore. E c’è un vecchio, figura oracolare ai margini, che conosce i cunicoli come fossero vene di un corpo in agonia. Insieme, penetrano nel cuore della leggenda e della verità: il Sebeto, fiume scomparso, antico, dorato nella memoria della città; un corso d’acqua che un tempo separava Neapolis da Palepolis e che ora è solo un nome, un mito, un’assenza che piange mitologie e storie dimenticate. Ma non è solo un’indagine geologica. È un disvelamento. Esiste un piano, l’“Operazione Idra”, una setta, e un potere che si muove da decenni nel silenzio.

 L’acqua, che dovrebbe essere bene comune, diventa arma, risorsa contesa, minaccia politica. E Napoli, come un corpo malato, non regge più il peso delle sue verità nascoste. E poi appare la profezia delirante di un ritorno: una presenza antica, una donna primigenia che riemerge in un tempo che l’aveva voluta sepolta.

 Tutto il modernismo speculativo del Centro Direzionale — vetro, geopolitica, ambizione — poggia su questi fragili fondamenti: l’acqua, il mito, la memoria. Così riesci a intrecciare miracolosamente cronaca e finzione con una tale precisione da lasciare il lettore sospeso: a tratti, pare davvero che la cronaca vera si stia esponendo e la cultura della città entri a parlare con voce propria.

Leggendo il tuo libro, mi sono sentita immersa non solo nelle gallerie nascoste sotto Napoli, ma in un flusso di storie inestricabilmente legate: mito, storia e politica si mescolano in un groviglio dove il passato e il presente si sfidano e si sovrappongono. In questo thriller, la città diventa un organismo vivo e pulsante, e i protagonisti, mossi da interessi umani che non conoscono limiti, vivono in un gioco di potere dove nulla sembra quello che è.

Spesso ho avuto la sensazione che non fosse soltanto la tua penna a raccontare, ma la stessa cronaca a prendere parola, con la sua durezza implacabile, scandendo verità che non possono essere ignorate. Le tensioni tra politica, affari e potere, la corruzione nascosta dietro le quinte, la fragilità umana e la forza della sopravvivenza sono lì, palpabili, come il respiro della città che tu riesci a far sentire con intensità rara.

In questo racconto così potente, ho visto un omaggio silenzioso e profondo a Pugliese e a Malacqua, dove l’acqua diventa presenza viva, simbolo di una Napoli che non è solo un luogo geografico ma un’anima complessa, a tratti dolente, a tratti feroce.

Napoli sotterranea emerge come un personaggio vero, capace di custodire segreti e memorie, di raccontare storie che spesso la luce del giorno cerca di cancellare. La tua scrittura è un viaggio nel cuore di questa città, un viaggio che unisce il thriller alla riflessione, un percorso che ci invita a guardare oltre le apparenze, ad ascoltare la voce nascosta di una realtà che pulsa sotto la superficie.

E poi, nel silenzio che segue l’ultima pagina, resta una sensazione di vertigine profonda: che forse nulla è davvero finito. Che la città respira ancora nel buio, che il Sebeto attende sotto le strade, che Lilith, imbrattata di silenzio e sangue, non ha mai smesso di camminare.

Il fiume non è scomparso: è diventato visione. Una memoria d’acqua che continua a scorrere dentro chi ha saputo ascoltarla. E io, lettrice, resto convinta che Napoli non abbia semplicemente parlato, abbia cantato, in un suono antico e “futuribile” al tempo stesso, come una voce che ancora ci abita.

Con affetto immenso,
Daniela

(una lettrice che, seguendo il tuo fiume scomparso, ha ricordato il nome delle acque che l’attraversano da sempre.)

Foto di Sergio Siani

Riproduzione riservata©Copyright PressNews

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