Mutazioni estetiche: Max Coppeta e Anatomie ridefiniscono il confine tra arte e moda

Anatomie Cinetiche
Corpi, segni e mutazioni nella collaborazione tra Max Coppeta e Anatomie di Sergio Voria
di Daniela Marra
Nell’epoca dell’iperproduzione e dell’obsolescenza accelerata, Anatomie Cinetiche si presenta come un gesto controcorrente, una riflessione densa e stratificata sul corpo, sull’identità e sulla forma come spazio di resistenza. Inaugura il 23 maggio presso Studio Opera a Salerno, la mostra che segna l’incontro tra la ricerca artistica di Max Coppeta e il linguaggio sartoriale e concettuale del brand Anatomie di Sergio Voria, in un progetto a cura di Rita Raimondi, con il coordinamento culturale di Stefania Trotta.
Alla base dell’intervento c’è una volontà condivisa: abbattere i confini tra arte e design, sottraendosi alle logiche della ripetizione per restituire al gesto creativo la sua irriducibile singolarità. Il fulcro di questa collaborazione è l’“impugnatura”, modulo iconico creato da Voria nel 1997, ispirato allo studio anatomico della mano. Coppeta la assume come struttura simbolica e fisica, su cui operare un processo di trasformazione radicale.
Il lavoro dell’artista si configura come un’indagine quasi chirurgica, dove il corpo dell’oggetto viene sezionato, scarnificato, ricostruito. Un filo trasparente – filo di sutura, di pensiero, di connessione – attraversa le superfici come un segno sottocutaneo, insinuandosi nella materia fino a diventarne parte intima e indivisibile. L’oggetto perde la sua funzione originaria per trasmutarsi in forma viva, in corpo-macchina, in organismo ibrido che respira la tensione tra natura e artificio, tradizione e sperimentazione.
Anatomie Cinetiche non è una semplice esposizione di oggetti, ma una micro-narrazione incarnata, un racconto visivo che riflette sull’identità del corpo contemporaneo, sull’interscambio tra pelle e struttura, tra visione e tatto. I materiali – accuratamente selezionati – dialogano con l’innovazione, fondendo artigianalità e tecnologia, gesto e concetto.
La mostra si inserisce nel contesto della Salerno Design Week, piattaforma promossa da Confindustria Salerno con l’obiettivo di rigenerare il tessuto urbano e culturale della città e del suo territorio, attraverso pratiche di design consapevole e inclusivo. In questo scenario, Anatomie Cinetiche emerge come uno degli episodi più radicali e poetici, capace di rimettere in discussione l’oggetto come entità muta, trasformandolo in soggetto narrante.
Coppeta e Voria non propongono una moda da indossare, ma un pensiero da attraversare. La loro è un’anatomia della forma che diventa estetica del possibile, tensione continua tra visibile e invisibile, tra ciò che siamo e ciò che potremmo ancora diventare.
Il corpo è il primo spazio che abitiamo. Non scelto, non costruito, ma dato: un’origine carnale e vivente che ci precede e ci fonda. In questo senso, Anatomie cinetiche non è solo una collezione di oggetti, ma un esercizio di ritorno al corpo come architettura primigenia del design. Ogni oggetto, nella sua forma essenziale, è un’eco della nostra fisicità, una trascrizione visiva e tattile delle strutture che ci compongono: cavità, tensioni, articolazioni.
La pelle – intesa come superficie organica e come materiale – è qui il punto di contatto tra interno ed esterno, tra essere e apparire. Nella sua ambiguità, essa è insieme confine e apertura. Lavorata con gesti sottrattivi, priva di orpelli, si offre come uno spazio inciso, attraversato, ferito con grazia. I fori, che punteggiano gli oggetti come aperture anatomiche, non sono ferite da rimarginare, ma spiragli che rivelano: ciò che si mostra non è solo un vuoto fisico, ma una possibilità di attraversamento, un invito a guardare dentro, a toccare l’essenziale.
Il pieno e il vuoto, allora, non sono opposti ma complementari. Il pieno dà forma, ma è il vuoto che accoglie. Il vuoto è lo spazio del gesto, dell’incontro, dell’intimità. Come nelle cavità del corpo umano – bocca, mani, occhi, orecchie – anche negli oggetti il vuoto è luogo di relazione, apertura al mondo, esperienza sensibile.
L’eliminazione del manico, la richiesta di un contatto diretto tra mano e pelle, riporta il design a una dimensione quasi arcaica: non più mediazione, ma unione. Un gesto che ricorda l’abbraccio, la stretta, la presa. In questo atto, c’è qualcosa di profondamente umano: il bisogno di sentire attraverso la materia, di conoscere attraverso il tatto, di abitare gli oggetti come estensioni del proprio corpo.
Anatomie cinetiche propone così una nuova grammatica del portare, che sovverte il concetto dell’omologazione industriale a favore del pezzo unico identitario, perciò si configura come una esperienza intima dell’essere: un linguaggio che riscrive il rapporto tra contenuto e contenitore, tra pelle e identità, tra corpo e oggetto. In questo dialogo silenzioso tra forma e funzione, tra pieno e vuoto, si apre una riflessione sulla nostra stessa esistenza: siamo materia che contiene e che si lascia attraversare, superficie che espone e custodisce, identità in continua trasformazione, costruzione e decostruzione.



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