Ti scrivo perché ti ho letto. Mirella Armiero, autrice di “Pensiero ribelle” Solferino edizioni

In questa rubrica Daniela Marra raccoglie lettere nate da letture che hanno lasciato un’impronta profonda. Libri che conducono altrove, parole che hanno saputo accendere uno sguardo, muovere un passo. Qui, chi legge non recensisce: racconta il suo attraversamento, e affida alla parola scritta il gesto antico della gratitudine.
Nel tempo in cui le anime si parlano
di Daniela Marra
Cara Mirella,
ci sono incontri che si compiono tra le pagine come accade con certi sguardi in treno: brevi, intensi, eppure destinati a restare. Così è accaduto tra me e Maria Bakunin, La Signora, e ho sentito che il tempo, per un attimo, si fermava. Ho conosciuto Marussia, finalmente, profondamente, grazie al tuo Pensiero ribelle. E grazie a te. Ogni capitolo, ogni gesto ricostruito con una scrittura misurata e amorevole, mi portava in ascolto. Non di una biografia, ma di un respiro.
Il respiro di una donna che sfidò la sorte con la sola forza di ciò che amava: la chimica, la conoscenza, la libertà. Attraverso le tue parole, ho visto, non già la cronaca di un’esistenza, ma il chiarore di una presenza remota e viva: Maria Bakunin, che veniva a me come un’eco dimenticata dalla Storia, un essere d’anima leggera e di mente incandescente.
Pagina dopo pagina, ho percepito, come si percepisce una musica che non ha ancora nome, qualcosa di più profondo d’un racconto: la tenerezza del tuo sguardo, il pudore del tuo tocco narrativo, l’umiltà con cui ti sei posta accanto a lei, senza invaderla, senza imprigionarla nel gelo della celebrazione.
Lei, la scienziata che non fuggì all’eruzione del Vesuvio, ma vi corse incontro per raccogliere minerali incandescenti. Quel gesto, andare “controcorrente”, mi ha consegnato un’immagine eterna: la donna che abbraccia l’eruzione, senza temerla. È lì che ho visto Marussia come un volto sospeso tra l’umano e l’elementare, tra la fragilità e la potenza primordiale.
Con la precisione del saggio, la poesia del romanzo, il fremito del memoir hai restituito ai lettori la bambina siberiana che a Napoli diventa la prima laureata in Chimica in Italia, e poi, come un seme che fiorisce alla luce di una passione instancabile, la prima ordinaria, socia dei Lincei, presidente delle Accademie, e guardiana della biblioteca sotto i bombardamenti. Il suo animo come una bandiera: “severo, ruvido, strutturato” che non rappresenta un limite ma è misura esatta della sua libertà, del suo rifiuto di piegarsi ad etichette imposte.
Ed anche le contraddizioni, il rigore accademico e lo scandalo amoroso, l’affetto viscerale per il padre anarchico e l’autorità morale nel Sud che fioriva di idee, tu le hai narrate senza timore, con la discrezione di chi sa che la verità vive nelle ombre complesse, non nelle celebrazioni monumentali. E infine, la Napoli della Belle Époque spunta dal passato come una città “più avanti” persino della Napoli di oggi, dove la parità e la mentalità rinascevano, centrali nel progetto di una città che voleva guardare al futuro.
C’è qualcosa di sacro nel tuo modo di raccontare: affidi alla parola il compito di riportare in vita, non solo una figura storica, ma il suo battito, le sue contraddizioni, la sua umanità. Una donna che non fece rivoluzioni con le barricate, ma con i libri e i laboratori. La prima donna laureata in Chimica in Italia: eppure questa, che da sola basterebbe a scolpirne la grandezza, è solo una delle sue mille rivoluzioni silenziose.
E così, Marussia, creatura tra la scienza e l’infinito, si è sollevata dalle righe come un’ombra luminosa. Non la vedevo, la sentivo, nel battito delle tue frasi, nell’oscillare pensoso della tua prosa, nel respiro appena percettibile con cui l’hai restituita al mondo.
Fu la prima, sì, ma non si impose. Agì con la forza delle cose naturali, come l’acqua che cade o la luce che si posa. E intorno a lei, tu.
Non come biografa, ma come sorella segreta. Come quelle donne che vegliano, nell’ombra, le anime rare, perché non si perdano del tutto nel nulla che le circonda.
Il tuo libro, Mirella, è gesto d’amore e di memoria. Ma è anche, se mi permetti, un piccolo atto d’insurrezione poetica contro il tempo che cancella, contro il potere che dimentica, contro il disincanto che divora ogni splendore.
Tu sei andata a cercare un’anima per renderle giustizia senza volerla possedere. E ora, anche in me, Maria Bakunin è presente: cammina nei miei pensieri, appare nelle ore immobili, accanto a quel tipo d’eroismo che non si mostra mai.
Hai fatto questo, Mirella. E lo hai fatto con la dolcezza che non ha solo voce, ma permane.
Ne hai fatto una presenza. E io, leggendo, ho avuto la sensazione che la tua voce si intrecciasse alla sua, come se tra te e lei ci fosse stato un accordo sottile, di sorellanza e di riconoscimento. La storia che doni è un dono duplice: è la restituzione di ciò che non dovevamo dimenticare ed è insieme un atto politico, uno di quelli gentili e ostinati, che scardinano le gerarchie della memoria.
Perché ci sono donne, e tu lo sai, che vengono sommerse due volte: una dalla Storia, l’altra dal tempo. Ma tu sei andata a cercarla, come si cerca una radice sepolta nella terra, con mani pazienti e mente vigile. E l’hai riportata a noi.
Hai raccontato un altro volto di Napoli, quello del rigore e della scienza, sepolto sotto il folklore e l’eterno sole. E io ti ringrazio, con una gratitudine che non è solo mia, ma di tutte quelle anime che cercano nel pensiero un rifugio, una via, un atto di resistenza. Attraverso Maria Bakunin hai scostato un velo sulla sua storia e sull’idea stessa di femminilità libera, consapevole, complessa. Tra forza, ombre e desideri. La libertà, in fondo, non è mai semplice.
Spesso l’identità femminile viene legata a sentimenti, a passioni, a dolcezze, ma raramente al pensiero. E invece Marussia è stata il pensiero incarnato: pensiero ribelle, sì, ma anche lucido, concreto, necessario. Una donna che non chiedeva permesso, e che per questo veniva “paragonata a un uomo”, perché autorevole, precisa, incorruttibile.
È questa la misura del ritardo culturale che ancora ci portiamo dentro. Una frase che porta ancora oggi, tra le sue parole stanche, la misura di quanto ci sia ancora da dire, da fare, da sopportare. Ecco perché il tuo libro è un “pensiero ribelle” non solo per Maria, ma per tutte noi: perché sfida la storia ufficiale e la natura effimera della memoria. Perché l’emancipazione non è uno stendardo, ma un atto quotidiano: il continuare, con coerenza, a seminare pensiero e cura.
E io penso a Marussia come a una crepa felice nel vetro. Una donna che, nata nel 1873, ci parla ancora, ci interroga. Ci chiede se vogliamo davvero continuare a vivere così, in un mondo dove il pensiero è ridotto a opinione, la libertà a prodotto, e la parola donna ancora fatica a coincidere con la parola potere, non potere sugli altri, ma potere di essere.
Ora Marussia vive nella mia immaginazione, la sua figura affascinante e libera con la casa piena di gatti e una finestra che dà direttamente sull’università, quasi la scienza fosse un’estensione naturale della vita quotidiana. La vedo discutere con un sacerdote di tutto, tranne che di religione. La vedo affrontare il fascismo con il rigore dei pensieri lunghi. La vedo, soprattutto, incarnare un’idea di emancipazione che non ha bisogno di proclami, ma di coerenza, di studio, di passione.
Il tuo libro è un esempio, Mirella. Un esempio di resistenza gentile, ma anche di inquietudine. È un varco. Ed è lì che si avverte un’eco di Fabrizia Ramondino, la limpidezza ferita, lo sguardo sobrio e incantato. E in controluce, anche quella Napoli altra che è città e coscienza insieme, visione, rovina e germoglio. Tu l’hai raccontata così. Con una scrittura che non impone, ma accompagna. Con la grazia di chi sa che alcune storie si attraversano. Hai scritto un libro che non si limita a “dire” la storia, ma la “rilancia”. La rilancia dentro un presente stanco, omologato, spesso smemorato. E in questo gesto c’è tutta la tua libertà. E tutta la tua forza.
E io, attraversando le tue pagine, ti sono grata, perché hai scritto non solo con la testa, ma con una fedeltà interiore.
E perché, leggendoti, mi è sembrato di non essere sola.
Con commossa gratitudine,
Daniela
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