Abballammo pe balla’: la danza come rito di gratitudine e fondazione

Abballammo pe balla’: la danza come rito di gratitudine e fondazione
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Il maestro Lello Traisci torna a emozionare con “Abballammo pe balla’”, un brano che omaggia la città di Formia, luogo che da anni lo accoglie con entusiasmo durante spettacoli e presentazioni dei suoi libri di antropologia musicale. Questa nuova composizione non è solo musica: è un gesto di gratitudine verso una comunità viva, generosa e profondamente legata alle proprie radici. Ed è il canto che ritorna: quando la musica è rito e la memoria si fa corpo.

Nella notte tiepida del 10 agosto, mentre le stelle di San Lorenzo spargevano desideri invisibili sui ruderi del Teatro Romano di Castellone, un canto si è sollevato dalle pietre antiche: “Abballammo pe balla’”. Non era solo una canzone: era un ritorno. Un gesto, un rito. Era la risposta affettiva di un artista, Lello Traisci, alla terra che lo aveva accolto, ed era, soprattutto, un atto fondativo, come lo intendeva Marcel Mauss: un dono che crea legami, un potlach mediterraneo.

Un tributo nato dal palco del Teatro Romano

Il brano prende vita dopo lo spettacolo tenutosi il 10 agosto al Teatro Romano di Castellone, noto come “Gliù Cancieglie”. In quell’occasione, Traisci ha incantato il pubblico con un’esibizione che ha intrecciato musica popolare e memoria collettiva, regalando emozioni autentiche e facendo rivivere frammenti di vita passata.

Un video spontaneo, firmato da due fotografi

A dare forma visiva al brano sono stati i fotografi Fabio Gigli e Gianni Spirito, noti per le loro riprese degli eventi culturali locali. Il videoclip, realizzato senza scopo di lucro, coinvolge danzatori e danzatrici del territorio e si propone come un dono alla città di Formia, esaltando la bellezza della tradizione e della partecipazione collettiva. Un piccolo evento simbolico che non ha la forma di un prodotto commerciale, ma di un gesto collettivo.

Girato con la partecipazione di ballerini del territorio, il video restituisce un movimento che non è solo estetico ma rituale: la comunità si riflette nella propria danza e si riconosce. Un atto quasi sciamanico, che richiama atmosfere alla Anna Maria Ortese, dove realtà e sogno si confondono in un incanto corale fatto di case, strade, anziani e bambini. È una Formia che non chiede di essere spiegata, ma semplicemente vissuta, parlando il linguaggio del ritmo.

Un’azione antropologica in musica

A chi guarda solo la superficie, potrà sembrare un omaggio musicale; a chi ascolta più in profondità, questo brano è un’azione antropologica in piena regola. Perché la musica popolare non è un orpello, ma un’epifania della comunità; è la forma in cui il “noi” prende corpo. Lo sapeva bene Alan Lomax, etnomusicologo statunitense che dedicò la vita a documentare i canti del Sud, consapevole che ogni melodia era una forma di resistenza, di memoria incorporata, di identità fluida ma tenace. Traisci si inserisce in questo solco. Ma lo fa con una delicatezza tutta sua, con la cifra dell’iniziato che sa che il suono è anche tempo che ritorna. E lo fa danzando: un invito a ballare come modo per restare umani.

Il cuore di “Abballammo pe balla’” è la ballarella, ritmo tradizionale del sud pontino. In questa scelta c’è già una posizione etica, una militanza affettiva: non si tratta solo di ricostruire una coreografia d’altri tempi, ma di riattivare il corpo collettivo della comunità.

Ballarella, amore e territorio: il messaggio del maestro

Il testo racconta una storia di danza, amore e appartenenza, con l’intento di esorcizzare il clima di tensione globale. Traisci sottolinea il potere della musica come strumento di pace e riflessione.

Traisci ha voluto ringraziare il Comune di Formia e le associazioni culturali che collaborano attivamente alla realizzazione dei suoi eventi. Un pensiero speciale è andato al Sindaco, agli assessori alla cultura e al turismo, ai fotografi e a tutti coloro che, con passione e dedizione, contribuiscono a mantenere viva la tradizione musicale e antropologica del territorio.

La musica come linguaggio universale

“La musica deve impartire emozioni pure e ingentilire gli animi”, dichiara il maestro. “In un periodo come quello attuale, la semplicità di una chitarra e di una voce, accompagnate da melodie popolari, ci aiutano a riscoprire il valore della serenità e della collaborazione”.

La danza, in questo contesto, non è semplice svago ma un dispositivo di cura. Come direbbe Victor Turner, una “zona liminale” in cui le gerarchie si sospendono e i corpi ritrovano la loro forma più arcaica e solidale. Traisci lo sa e oppone al disincanto del presente il gesto disarmante di un passo di danza. Ballare per ballare, dunque, ma anche per salvarsi. Per non cadere nel cinismo.

“Se gli esseri umani si volessero più bene fra loro, tante cose brutte non esisterebbero”, ricorda il maestro. Parole semplici che oggi risuonano come una critica radicale.

L’ho vista, tra le ombre che si facevano più lunghe davanti al teatro. Non era nel programma. Nessuno l’aveva invitata. Era una vecchia con un fazzoletto azzurro e le scarpe lise, forse venuta da lontano, forse emersa dal tempo stesso. Quando la musica è partita, si è alzata in piedi e ha cominciato a danzare da sola. I suoi gesti non erano armonici, ma ogni passo sembrava appartenere a qualcosa di antico. Forse era un ricordo. Forse era una nonna. Forse era tutte le nonne. I bambini l’hanno guardata prima con sospetto, poi con sorriso. Qualcuno ha provato a imitarla. Alla fine, nessuno ha chiesto chi fosse. Nessuno ha cercato di fermarla. Perché tutti, in fondo, sapevano che quella donna doveva esserci. Che senza di lei, senza quel passo solitario e tremante, la ballarella sarebbe stata solo folklore. Non rito.

Lello Traisci, nel comporre “Abballammo pe balla’”, ha fatto qualcosa che oggi ha quasi del miracoloso: ha scritto una canzone che non vuole spiegare, non vuole convincere, non vuole vendere. Vuole soltanto restare. E in questo restare, si fa custode di un’antropologia incarnata. Una musica che è insieme carezza e scavo. Un “grazie” che non è retorico, ma generativo: ringraziare è il primo passo per appartenere. E per far appartenere. Come direbbe Claude Lévi-Strauss, “la musica è un linguaggio nel quale l’uomo si mette in comunicazione con l’inconscio collettivo del suo gruppo.” In Abballammo pe balla’, questo inconscio prende la forma del ritmo, della memoria, del sudore condiviso. E così, Formia non è più solo un luogo: è un’azione. È il gesto di chi balla per dire io ci sono. È la città che danza per non dimenticare che la musica, se è vera, non è mai solo musica. È memoria che prende corpo. È, appunto, ballare per ballare.

Nel cuore di questo progetto si sente l’eco di un’urgenza che attraversa ogni epoca in crisi: quella di tornare alle cose essenziali. Una voce, una chitarra, un passo. Tutto qui. Ma a ben vedere, non serve altro per ricostruire un mondo.

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